I tre esorcismi di Rafilina da Torrecuso, di Giuseppe Franza

di Giorgio Borroni

Se qualcuno può esser tratto in inganno dal titolo di questo romanzo, è bene precisare da subito che non si tratta di un libro di genere horror o gotico, ma di un tradizionalissimo romanzo storico. Nel 1272 una vergine di nome Rafilina viene scortata da un frate, Ciommo, a Napoli, presso Tommaso D’Aquino per essere visitata: apparentemente la donna, taciturna e riservata, non ha nulla di strano, ma di  notte cade in preda a convulsioni e incubi che lasciano intendere sia affetta da uno stato di possessione. In una locanda dove Ciommo e Rafilina intendono pernottare, uno dei suoi attacchi provoca accidentalmente un attacco cardiaco al frate intenzionato a tentare il tutto e per tutto pur di liberarla dalla presunta presenza demoniaca con un “esorcismo fai da te”. Da qui in poi il compito di accompagnare la vergine da chi potrà curarla verrà affidato a Zosimo, uno zotico costretto spesso a ricorrere a espedienti a causa della sua condizione misera. L’opera di Franza è un classico romanzo storico che mescola elementi del passato e personaggi realmente esistiti, uno fra tutti Tommaso D’Aquino, a peripezie inventate ma alquanto plausibili che possono essere avvicinate al genere picaresco. La narrazione procede in modo lineare, ricorrendo spessissimo a dei “cligffhanger” posti ad arte alla fine del capitolo per invogliare nella prosecuzione della lettura. Lo stile è dei più tradizionali, forse per alcuni desueto (o volutamente retrò) per il ricorrere a un narratore onnisciente: il linguaggio usato e alcuni espedienti mi hanno ricordato molto la scrittura ottocentesca di Anton Giulio Barrili e un certo gusto per l’avventura sullo stile dei Beati Paoli di Natoli: dimenticatevi dunque lo “show don’t tell” e preparatevi anche a situazioni la cui risoluzione viene narrata indirettamente, fuori campo. Il lato picaresco, fatto di appestati, mendicanti, corrotti e mariuoli che si fanno beffa della legge è invece più evidente nella costruzione di alcuni personaggi che l’improbabile coppia costituita da Zosimo e Rafilina incontrano. Ad esempio Sisino Nocella, mago pentito che porta un voluminoso sacco per penitenza e a causa di esso ha una spalla quasi in cancrena condensa in sé la atmosfera di superstizione e la bizzarria delle credenze radicate nel Medioevo: un po’ in odore di santità, un po’ disposto a praticare rituali non proprio cristiani per placare gli attacchi della vergine, è un valido elemento per controbilanciare la seriosità di personaggi storici realmente esistiti. Il mago pentito, gigantesco e con una ferita infetta che non accenna a guarire, è anche un po’ il catalizzatore di situazioni assurde, come ad esempio il fraintendimento che porta i tre sin quasi sul patibolo, venendo creduti stregoni di magia nera, quando invece stanno tentando in extremis un esorcismo per placare le convulsioni di Rafilina.

La scrittura di Franza vuole ricalcare stilemi desueti per meglio calare il lettore nell’epoca descritta, tuttavia non risulta pesante, tanto che si nota una sorta di equilibrio tra la finzione retrò e una scorrevolezza che rende facile andare avanti con la trama. I tre personaggi principali sono sempre coinvolti in situazioni interessanti, cadendo dalla padella alla brace ogni qualvolta che paiono aver trovato stabilità: nel romanzo verranno rapinati, truffati, condannati a morte per stregoneria e Zosimo dovrà anche vedersela con dei pirati saraceni che tengono in ostaggio un religioso disposto a curare Rafilina. Se la struttura pare funzionare, ciò che a mio parere è poco solido in questo scritto sono le scene di azione, liquidate molto velocemente o con il ricorso a un deus ex machina a favore di elucubrazioni sotto forma di dialoghi. Zosimo, con la sua saggezza contadina, pare molto più propenso a cavillare che ad agire, mentre Rafilina, che man mano si scopre dotata di un fine intelletto e una filosofia votata all’ateismo mal capita dallo zotico e dal penitente che le fanno da scorta, è un personaggio costruito capitolo dopo capitolo e molto evanescente.  La psicologia del personaggio è via via ben chiara (e un po’ monotematica) nei suoi discorsi, sempre critici nei confronti dei bigotti, ma il suo male è meno chiaro, sempre accennato, forse anche per evitare scene a effetto che ricordino l’Esorcista e i suoi rispettivi cloni. Sembra che la causa delle sue convulsioni notturne risieda nell’impossibilità di esprimersi, imparare a leggere e scrivere perché donna: una condizione comune  nell’epoca narrata. La bizzarria di Rafilina non sta solo nei suoi attacchi che arrivano a sorpresa e nei momenti meno opportuni, ma anche per alcune reazioni volte a spronare Zosimo anche quando fronteggia pericoli o mostrarsi irrispettosa verso le autorità religiose: elementi che rendono il personaggio interessante proprio per la sua imprevedibilità, tuttavia se fosse un film, la sua presenza sullo schermo sarebbe davvero esigua, rispetto a quella di Zosimo (un po’ più di interazione tra i due avrebbe sicuramente bilanciato meglio la narrazione rendendola più apprezzabile)

 La coppia bifolco-presunta indemoniata, funziona a tratti, infatti molto spesso gli attori di questa vicenda appaiono un po’ monodimensionali e l’eloquio di Zosimo spesso lo rende un po’ troppo petulante. Che l’azione – narrata sempre un po’ troppo “fuori campo” – sia un po’ il tallone di Achille di questo romanzo, lo dimostra il fatto che molti nodi e sottotrame vengano risolti un po’ affrettatamente e soprattutto vengano lasciati un po’ in sospeso, tanto per lasciare spazio ad altre vicende, ma forse l’interesse dell’autore era più offrire uno scorcio di una mentalità che intrattenere con avventure.  La ricostruzione dell’ambiente invece appare buona e genuina, senza mai aver l’aspetto di una lezioncina di storia fatta di inutili e pesanti digressioni, il che rende la fruizione di questo libro abbastanza agevole e pregna di spunti interessanti.

In definitiva questo libro è decisamente da leggere, se cercate più un’atmosfera, un’ambientazione, piuttosto che l’azione pura, puntando più sulla dialettica per la risoluzione della vicenda: in questo senso, l’ultimo capitolo vuole tirare un po’ le somme e sembra un po’ mozzare la vicenda –  che avrebbe meritato forse un po’ più di respiro.

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