Foto piedi

di Andrea Sola

MANDA FOTO PIEDI.
Chissà perché proprio i piedi.
Non potrebbe essere una foto delle orecchie? Dei gomiti? Chessò, dell’ombelico?
No, il cinquantenne medio che ha l’ardire di piazzare una richiesta del genere in bella mostra sulla tua bacheca di Facebook vuole una foto dei tuoi piedi.
Facebook, l’unico sito in cui ha la possibilità di essere sgamato da moglie/figli.
La coscienza di Zuckemberg è sporca del sangue di chissà quanti padri di famiglia troppo avventati nell’uso dei social.
Come fai a biasimarli?
La gente ha più bisogno di immagini di piedi e scollature che di foto di buchi neri e di quadri astratti.
Guarda chi c’è negli schermi posati sugli altari della tua scrivania e del mobile in soggiorno.
Guarda di chi sono le facce che scorri sul tuo cellulare, che porti sempre con te come un santino.
Soubrette e ragazze di calciatori, fashion blogger e influencer, gente che nessuno sa chi è fin che non arriva a un milione di like e da mortali diventano dei.
Non sto esagerando, dei.
Puoi solo immaginare la vita che fanno.
Cosa succede nei privé dei loro locali?
E alle feste in cui le telecamere non possono entrare?
Non puoi immaginare le cose che mangiano.
Riusciresti a mangiare un pesce palla fugu?
E un sashimi di rana?
Il pesce palla fugu contiene una tossina cento volte più potente del cianuro, il suo consumo è stato proibito in tutta Europa e nel sud-est asiatico.
Il sashimi di rana viene preparato affettando le zampe posteriori a una rana viva, quando il piatto viene servito la rana può muovere la testa, il cuore batte ancora.
Mangiano cose che uccidono.
Mangiano cose che vivono.
La loro vita è un paradiso a portata di mano.
E Instagram e Snapchat, e ogni like, e ogni follower è un passo in meno che mi separa dalle porte
dell’olimpo. E ogni centimetro di carne che mostro è un like, un follower in più.
– Hai meno dignità di una spogliarellista, almeno loro lo fanno per soldi – ha detto il mio ragazzo prima di lasciarmi.
Ora ne ho tanti di ragazzi. Ragazzi che commentano, che lasciano like, che mi adorano.
Per loro mi spoglio, mi infilo cose dentro, per loro sono una dea.
Purtroppo il mio culto non ha vita lunga.
A quanto pare di dee c’è più offerta che domanda in questi tempi.
E bollette, affitto e quelle robe non so come pagarle.
Sto per finire sulla strada. Una dea fra cassonetti e senza tetto.
Racconto la mia storia in lacrime.
Indosso un collare rosa e due mollette sui capezzoli.
I miei adoratori non sembrano particolarmente toccati.
Molti si sono convertiti al canale di qualche altra ragazza.
Nei commenti mi dicono che me lo sono cercata, mi chiedono cosa mi aspettavo.
Sono dimagrita molto. I seguaci che mi sono rimasti non mi chiedono più di spogliarmi.
Mi chiedono che droghe uso. Se per mangiare frugo tra i cassonetti, se litigo con i barboni. Se lo so che me la sono cercata. Mi chiedono di far vedere i lividi in webcam, di mostrare quanto riesco a tenere la mano sopra la fiamma di un accendino.
Solo uno non m’insulta né mi chiede di farmi male.
Solo un gentiluomo mi scrive:
MANDA FOTO PIEDI.
E io mando la foto.
Mi aspetto una proposta oscena.
Seguita da un pagamento.
Passano giorni o forse ore o forse anni prima che risponda.
SEI PRONTA. Mi scrive, non è una domanda.
Sì? scrivo io. Non è una risposta.
ESCI DI CASA. Obbedisco, anticipando di qualche ora lo sfratto.
Aspetto nella pioggia. Sono scesa senza niente, addosso il vestito più costoso che ho. Mi sta largo ed è pieno di macchie. Mordo le unghie fino a quando ho le dita insanguinate, uno show che sarebbe piaciuto ai seguaci che mi sono rimasti. Ma non ho più bisogno di loro. Sta per succedere. Questa è la mia grande occasione. Lo so. Non chiedetemi come.
Farò una comparsata in qualche show?
Un video musicale?
Qualche scatto per una marca di vestiti?
Un porno artistico?
Chi è che mi ha notato?
La macchina che si ferma a prendermi è il genere di macchina che ti aspetti, anonima, quasi elegante.
Dentro odora di fumo e piscio. Macchie e graffi sui sedili.
– Dove stiamo andando? – chiedo all’autista che è solo due spalle con una zucca pelata sopra.
Non mi risponde.
Quando la macchina si ferma, e quasi non ci credo.
È il ristorante degli dei. Quello che non ci puoi entrare se non hai il tuo nome su una bottiglietta d’acqua da dieci euro, se non hai la tua faccia su una maglietta. Se sei solo un mortale.
Un cubo marrone scuro, quasi nero, pietra che sembra legno.
Niente finestre. Riflettori rossi illuminano le mura.
Nessuno sa cosa succeda là dentro ma tutti lo sanno lo stesso: droghe, orge, riti satanici.
Non vedo l’ora di entrare.
Faccio per andare verso le porte di quell’olimpo che mi aspetta, ma l’autista mi ferma.
L’entrata sul retro è buia, circondata da bidoni della spazzatura.
Piccole cose che zampettano tra i miei tacchi di plastica.
Un po’ dovevo aspettarmelo che non mi avrebbero fatto entrare da davanti la prima volta.
Passo per la cucina, è enorme ma c’è solo un cuoco, e uno scarafaggio sopra un tagliere.
– Dove ti hanno trovata? – mi domanda. È grasso. Gonfio. Occhi neri adagiati sulle occhiaie carnose come olive su due fette di roast-beef. E un sorriso che è tutto denti.
– Internet – dico io, ha un coltello in mano.
Lui annuisce pensieroso, poi sferra il colpo.
– Non ti hanno detto perché sei qua vero? – domanda.
Lo scarafaggio si divincola infilzato sulla lama.
Penso di saperlo. Non so cantare, ballare, o far ridere.
– Con chi devo farlo? – chiedo.
– Cosa? – domanda lui. Lo scarafaggio è sparito dal coltello.
– Chi mi vuole?- domando.
– Tutti – sorride, ha i denti sporchi di nero.
Tutti, penso, immaginando un’orgia, tra le pareti fredde di quest’olimpo.
Me come protagonista, dea fra gli dei.
Poi il cuoco sferra un altro colpo.
Stavolta lo scarafaggio sono io.
Stavolta usa una grossa siringa invece di un coltello. Quando riapro gli occhi sono tutti attorno a me.
Visti da vicino, sono molto diversi da come li ho vedi su Instagram e in televisione.
Non sembrano dei. Il trucco è sbavato. Neanche persone. La pelle piena di grinze. Ma grosse lucertole travestite da umani.
Io sono al centro del tavolo, tutti mi guardano.
Dalle cosce in giù le mie gambe sono state sminuzzate in eleganti striscioline, ma il mio cuore batte ancora.
E mentre mangiano i miei alluci con bacchette fatte d’osso posso muovere la testa.
E dei miei piedi ormai rimangono solo le foto che ho mandato.

“Masha” (particolare) di Denis Sarazhin
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