La stirpe dell’eclissi

di Angelo Maria Perongini

Perché Sanguinem? Nell’immensità dell’universo, dove una tenebra siderale sgocciola e s’infiltra in ogni interstizio, e i pianeti sono grani di rosari in tempesta, perché proprio Sanguinem?
Nella sua estenuante rivoluzione, danza promiscuo tra due soli, due stelle che se lo contendono in valzer. Nel giro di un anno bisolare, una specie nativa a metà della sua evoluzione vede morire almeno due generazioni. Ogni specie, in genere, non sopravvive ai vent’anni. Ma la sua rotazione veloce, d’altra parte, rende la notte un fatto circostanziale e incostante, non diverso da un velo di nembi, e forse anche meno ostinato.
Eppure siamo nati su Sanguinem. Non riesco a smettere di domandarmi la ragione di un tale paradosso.
Il Nobile Malvester sostiene che ci sia una preziosità data dalla nostra inverosimiglianza. La rarità di essere nati in un grembo sterile e di essergli sopravvissuti ci rende quello che siamo – questo dice lui. Malvester è tra i membri più antichi e rispettati della carovana, e le sue parole sono d’ispirazione per tutti. Una cerchia di accoliti lo segue come una corona troppo grande per la sua testa. Amano sentirlo parlare, fare vanto della sua esperienza. Si rabbuiano quando è triste, ridono quando è felice.
E così, il pianeta ci chiama alla nostra casa ostile una volta ogni cento anni, quando la sua orbita si sovrappone a quelle di altri due pianeti attorno al secondo sole. I due pianeti combinano una lunga eclissi che dura circa un quarto del suo tempo di rivoluzione. Una nullità, rispetto alla lunga estate di Sanguinem, ma un tempo sufficiente a noi per trovare il meritato ristoro, prima di ripartire a bordo delle nostre navi sulle tetre rotte lungo gli orli della galassia.
La Nobile Pulvilla soffre più di altri la migrazione. Una volta ho temuto che si fosse nascosta in qualche anfratto a noi ignoto, per rimanere su Sanguinem anche dopo la fine dell’inverno. La immaginai mentre guardava la nostra carovana sparire nell’ultimo vespro, simile a una collana di perle che affonda in un pozzo. Invece aveva solo fatto ritardo. Lesse il sollievo nei miei occhi e potrei giurare che fu quasi pentita di non averci pensato lei. Temo che questa volta lo farà, e a noi toccherà lasciarla a scontare il suo castigo finché non sarà anche lei polvere nel deserto che tanto le manca.
Al Nobile Pluto, invece, non piace tornare su Sanguinem. Ogni volta che si avvicina l’inverno se ne va in giro a infestare la sua nave, un’ombra penosa e ritorta, come in attesa di un male cronico che manifesti i suoi primi sintomi. Anche quando siamo su Sanguinem, di solito rimane a bordo. Ha persino provato ad adattarsi ad altre terre, ma senza successo. Lo si capisce quando ha fatto un nuovo tentativo, perché i suoi quattro occhi, di solito pieni e brillanti, diventano scavati e lividi. È una creatura orgogliosa.
Sono stanca, e anche attraverso il vuoto dello spazio sento il profumo del sottosuolo bagnato dalle sorgenti silenziose che si risvegliano. Se i calcoli sono esatti, tra poche ore atterreremo dove ci attende la terra che brama le ombre, e noi potremo riposare dopo questa inverosimile veglia.
Dolce, maledetto Sanguinem. Qualcosa nelle viscere del pianeta deve odiarci con ogni sua fibra, per farci questo ancora una volta.

Lascia un commento