Cielo verde

di Tersite Rossi

Quella mattina di ormai tanti anni fa mi svegliai e il cielo era verde.

Non ci badai più di tanto. Pensai a qualche scherzo degli occhi ancora assonnati.

Andai in bagno, ne uscii, tornai in camera da letto e il cielo era ancora verde.

Mi allarmai.

Mi stropicciai gli occhi, più volte.

Niente. Il cielo restava verde.

Era un verde brillante, innaturale.

Mi precipitai di sotto, dove Anita stava facendo colazione.

– Buongiorno – mi disse tranquillamente.

– Hai visto? – le domandai con affanno.

Mi guardò preoccupata.

– Visto cosa?

– Il cielo!

Si girò verso la finestra e guardò fuori.

– Che cos’ha, il cielo?

– Ma come, non lo vedi? È verde!

Si mise a ridere.

– Ti va di scherzare la mattina presto? – disse. – Io però adesso devo andare, o faccio tardi. Qui metti via tu?

Mi limitai ad annuire, stralunato.

Anita non c’era più, il cielo verde sì.

La stessa scena si ripeté più volte, quel giorno. Domandavo agli altri se vedevano anche loro il cielo verde e gli altri mi guardavano divertiti, come si guarda un burlone. E poi, se insistevo, mi rispondevano di no, che il cielo era dello stesso colore di sempre. Guardandomi strano, a quel punto. Come si guarda un matto.

Vidi il cielo verde per il resto di quel giorno, fino al tramonto, quando il verde lasciò finalmente posto al nero della notte.

Accadde lo stesso anche nei giorni seguenti.

Il quarto giorno, stravolto dalla preoccupazione, presi appuntamento dall’oculista.

– Non c’è niente che non vada, nei suoi occhi – sentenziò dopo avermi minuziosamente visitato.

Rimasi attonito. Mi ero ridotto a sperare di essere malato, pur di trovare una spiegazione.

– Ma com’è possibile? – protestai. – Non sono daltonico o qualcosa del genere?

– Affatto – ribatté l’oculista. – I suoi occhi percepiscono i colori in modo del tutto corretto.

– E il cielo verde, allora?

L’oculista mi guardò per un lungo istante, prima di rispondermi.

– Temo che non siano i suoi occhi a vederlo verde, ma il suo cervello.

– Non c’è niente che non vada, nel suo cervello – mi disse il neurologo dopo aver esaminato le carte della TAC. Era ormai passato un mese dal giorno in cui avevo visto il cielo verde per la prima volta. Un lungo, estenuante mese.

– E allora perché vedo il cielo verde? – domandai disperato.

– Forse – mi rispose – dovrebbe chiederlo a uno psichiatra…

Lo psichiatra mi fece una quantità infinita di domande che non mi pareva avessero nulla a che fare col mio problema. Mi chiese se avevo avuto un’infanzia difficile, se i miei genitori da piccolo mi maltrattavano o mi soffocavano di attenzioni, se andavo bene o male a scuola, quando avevo avuto il mio primo rapporto sessuale, quante relazioni sentimentali avevo avuto nella mia vita, com’era il rapporto con mia moglie, se non aver avuto figli era stata una scelta e perché, se provavo odio per qualcosa o qualcuno, quali erano le cose che mi davano gioia e quali tristezza, se avevo un buon rapporto con il prossimo o litigavo di frequente con gli altri, se la notte riuscivo a dormire, se avevo ansie, preoccupazioni, sogni ricorrenti, voglie improvvise, scatti d’ira, sbalzi d’umore, momenti di depressione, tendenze suicide.

Io risposi a ogni domanda sforzandomi di essere il più sincero possibile.

– In lei non ho riscontrato alcuna particolare anomalia, dal punto di vista psichico – mi disse alla fine lo psichiatra.

Scossi la testa, affranto.

– E il cielo verde, allora? – domandai con un filo di voce.

Lo psichiatra guardò fuori dalla finestra, verso l’alto.

– Non ne ho idea – ammise. – Fossi in lei, tornerei dall’oculista.

Lasciai perdere i medici e mi rassegnai.

– Vedi sempre il cielo verde? – mi domandava di tanto in tanto Anita.

– Sì – rispondevo.

Imparai tuttavia a parlarne sempre meno, fino a non parlarne più del tutto. Quando qualcuno, accanto a me, diceva cose del tipo “Guarda che bel cielo!” o “Che cielo azzurro!”, io rispondevo di sì, che era bello, che era azzurro.

Dopo un po’, smisi persino di farci caso, al cielo verde.

Anche se da qualche parte, durante quel periodo, avevo letto, documentandomi, che il cielo verde, visione rarissima in natura ma non impossibile, è considerato presagio di terribili tempeste, grandinate, sventure.

Fu alcuni anni dopo che, di colpo, da un giorno all’altro, anche il resto dell’umanità iniziò a vedere il cielo verde.

All’inizio ci fu molta agitazione.

La trafila medica che avevo fatto io diventò collettiva. I medici ammisero, come avevano fatto con me, la loro ignoranza. A loro si aggiunsero gli scienziati. Nessuno capì il motivo di quei cieli verdi.

Finché tutti, come avevo fatto io, smisero di farci caso.

La cosa bizzarra fu che, proprio da quando gli altri iniziarono a vedere il cielo verde, io tornai a vederlo azzurro.

Inoltre scoprii che non ero stato l’unico a vedere il cielo verde in anticipo. Si diffuse la notizia che negli anni precedenti c’erano stati molti altri casi come il mio, in giro per il mondo. Gente che era stata presa per stramba, se non proprio matta, e che alla lunga aveva preferito, come avevo fatto io, lasciar perdere e smettere di far caso al cielo verde.

Fu dopo qualche altro anno che l’aria iniziò a diventare irrespirabile. Le crisi respiratorie presero a colpire sempre più duramente chiunque vedesse il cielo verde. La gente iniziò a morire soffocata, a migliaia, poi milioni, poi miliardi.

Io e i pochi sopravvissuti, tutte persone che avevano visto in anticipo i cieli verdi, ci muoviamo oggi tra le macerie del mondo di prima come spazzini, raccogliendo quel che si può, sempre troppo poco, e sempre di meno.

È una vita misera. Ma il cielo è azzurro, di un azzurro irreale, come fosse dipinto. Un azzurro meraviglioso. E la sua vista, ogni giorno, ci spinge a tirare avanti.

Illustrazione di Sandra Roeken
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