Manuale per uccidere la scrittura / 1

di Alessandro Pedretta

Manuel Acuña, poeta romantico messicano, nel 1873, poverissimo, ingerisce del cianuro nel suo stanzino alla Scuola di Medicina, solo, forse affranto dall’amore. Il battito del suo cuore aumenta di colpo, lo sente rutilante nelle orecchie come se stesse fuggendo dalla sua cassa toracica, poi diminuisce progressivamente, come una farfalla che rallenta il battito d’ali posandosi su un fiore. Avviene inesorabile l’anossia cerebrale e dunque il collasso cardiovascolare. Manuel schiatta con un tonfo sul pavimento, i suoi baffi neri che creano una virgola scura sopra la bocca spalancata come una tagliola.

Manuel Acuña

Carlos Casagemas, pittore e poeta spagnolo, amico di Picasso, non sopporta di non essere corrisposto nell’amore per la parigina Germaine Pichot, una delle donne ritratte da Picasso ne Les demoiselles d’Avignone e ballerina del Moulin Rouge. Nella sua mente ossessiva, chiusa come un riccio, è convinto che la donna sia la sua fidanzata, ma lei non ricambia l’affetto come lui vorrebbe. Carlos beve molto. Si ubriaca per le vie di Parigi. Il 17 febbraio del 1901, in un bistrôt, a mezzogiorno, prima pranza con la donna, si scolano assenzio, lui forse le chiede di sposarlo e lei rifiuta, forse è incazzato perché sa che lo tradisce, e lui le spara, ma manca il colpo. Quindi si punta la canna alla tempia e fa centro. A 20 anni lascia il suo corpo morto incastrato tra i tavoli del ristorantino, il cranio squarciato da qui zampilla furioso il sangue macchiando le tovaglie di pizzo, lasciando un’ombra rossa sui listelli di parquet, la pancia piena.

Carlos Casagemas nel ritratto di Pablo Picasso

Georg Trakl, passato alla storia come poeta espressionista austriaco, già nel 1905, mentre legge Nietzsche, Rimbaud e Dostoevskij seduto sul suo sgabello dietro al bancone della farmacia dove lavora, si droga con quello che trova sugli scaffali. Lo hanno bocciato al ginnasio, è un tipo inconcludente, non riesce a capire il suo posto nel mondo. Lavora in farmacia, poi in un ospedale militare, poi da altre parti dopo che ha finalmente concluso le scuole e ha frequentato e ultimato ottimamente un corso di farmacia. Beve anche molto, scrive per qualche giornale, pubblica poesie. Viene chiamato come soldato, c’è lo scoppio del primo grande conflitto. Soffre di crisi depressive tremende. Nella battaglia di Grodek, in Galizia, assiste più di 80 feriti, è un’impresa grandguignolesca. C’è una carneficina in atto. Immerge le mani nelle viscere, nel sangue, in cavità nei corpi che neanche pensava potessero crearsi. La vista di 13 soldati impiccati sugli alberi di fronte la sua tenda lo perseguita. Cerca di uccidersi, ce la fa il 3 novembre del 1914, nella sua camera dell’ospedale psichiatrico di Cracovia, iniettandosi una dose massiccia di cocaina, il suo volto contratto è una maschera bianca, come di cera, come di gesso.

Georg Trakl

Hart Crane nasce lo stesso identico giorno di Ernest Hemingway. Poeta simbolista, immerge il muso con passione nella lettura di Yeats e Pound. Poeta orfico, suggestivo, simbolista, cresce in una famiglia spezzata in partenza, i  genitori, insofferenti tra loro, si lasciano quando è ancora piccolo. Crane soffre di forti crisi depressive. Grazie a una borsa di studio parte per il Messico. Nel viaggio di ritorno in Florida, il 27 aprile 1932, forse comprendendo in maniera cristallina che mai più potrà eguagliare le vette del suo secondo libro, molto acclamato, “The bridge”, decide di saltarlo, quel ponte, e si getta in mare. Il suo corpo come una macchia scura di stracci affonda tra la schiuma lentamente, ma inesorabilmente.

Hart Crane
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