Philip Nixon e Tricky K. Dick: paranoia e impero tra pseudomondi e realtà storica

di Marco Tumiatti [articolo pubblicato originariamente su Silicio #4]

[Richard Nixon] divenne il primo a professare la dottrina monarchica secondo cui il sovrano non può commettere degli sbagli. Per usare le sue stesse cocciute parole a tre anni dalle dimissioni consegnate per evitare l’impeachment: “Se lo fa il Presidente, allora significa che non è illegale.” Questa nuova dottrina sul diritto divino dei Presidenti fa da sfondo sia al tentativo di Nixon di insabbiare la questione Watergate, sia alla sua spinta per la trasformazione della macchina governativa americana. “Ho avvertito” – scrisse nelle sue memorie – “che eravamo ad un punto di svolta di proporzioni storiche. La mia lettura della storia mi ha insegnato che quando tutte le istituzioni apicali di un paese vengono paralizzate dalla mancanza di fiducia e da ripensamenti, allora quella nazione non è più in grado di sopravvivere, a meno che le istituzioni vengano riformate, rimpiazzate, o circuite. Durante il mio secondo mandato ero pronto a adottare uno qualsiasi di questi tre metodi – o qualunque combinazione di essi si fosse dimostrata necessaria.”

Arthur M. Schlesinger, Jr. – The Imperial Presidency, 1973

17 giugno, 1972.

Mezzanotte.

Foggy Bottom, periferia di Washington D.C.

Sulla sponda sinistra del fiume Potomac, di fronte alla Theodore Roosevelt Island, c’è un mastodontico complesso edilizio che si estende su sei grandi edifici.

La guardia di sicurezza Frank Wills, 22 anni, ha appena iniziato il turno e si appresta a cominciare il consueto giro di ispezione notturna del blocco situato al 2600 di Virginia Avenue.

Durante la perlustrazione, Wills nota una striscia di nastro telato sullo scrocco di una porta che conduce al parcheggio sotterraneo dell’edificio.

Probabilmente, Wills si gratta la testa, confuso.

Magari è stata l’impresa di pulizie, pensa.

In ogni caso, lo rimuove, e prosegue nel giro di controllo.

Al termine della prima ronda, attorno alla mezzanotte e mezza, Wills spegne tutte le luci nella hall ed esce per rimediare un boccone. Al suo ritorno, mezz’ora dopo, riprende il giro. Quando si trova nuovamente nei paraggi di quella porta, posa distrattamente lo sguardo sullo scrocco. È coperto da una striscia di nastro telato.

Frank si precipita nella lobby, afferra il telefono e contatta la stazione di polizia, chiedendo rinforzi presso il complesso del Watergate. Sono le 1.47.

Sull’altro lato di Virginia Avenue, nella stanza 409 (o forse nella 723) dell’Howard Johnson’s Motor Lodge Motel, Alfred C. Baldwin III sta guardando la televisione. Sul mobile della TV c’è un walkie talkie. Baldwin ha ricevuto delle istruzioni molto chiare. Se nota qualcosa, deve contattare immediatamente McCord e gli altri.

In TV c’è un film di fantascienza horror del ’58, in bianco e nero, che si intitola The attack of the puppet people.

A un certo punto, Baldwin vede un’auto accostare di fronte al Watergate. I passeggeri scendono: sono tre individui vestiti da hippie. Nulla di pericoloso. Baldwin ritorna al suo film.

Alle 2:15 – sono passati esattamente ventotto minuti da quando Wills ha chiamato la polizia – guardando distrattamente verso il Watergate, dall’altro lato della strada, Baldwin vede il fascio di luce delle torce che scandagliano il settimo piano. Guardando con il binocolo, vede i tre hippie che si muovono attraverso le stanze dell’immobile: ora si stanno dirigendo al sesto piano, occupato dagli uffici del Comitato Nazionale Democratico.

Alcuni di loro portano delle pistole.

Baldwin agguanta il walkie talkie e avvisa McCord.

Nessuna risposta.

È la prima tessera di un domino destinato a far cadere il presidente Richard Milhous Nixon, che rassegnerà le proprie dimissioni nell’agosto del 1974, evitando così di finire di fronte al giudice per un processo di impeachment dall’esito già scritto in partenza. Sarà il primo (e finora unico) presidente dimissionario nella storia degli Stati Uniti d’America.

Nel seminale The Imperial Presidency, da cui è tratta la citazione in esergo, lo storico Arthur Schlesinger descrive la presidenza di Richard Nixon come lo zenit di un processo di deriva autoritaria del potere esecutivo che, specie dal secondo dopoguerra in poi, con il deciso interventismo internazionale giustificato dal contesto eccezionale della Guerra Fredda, risultava sempre meno vincolato dal meccanismo di pesi e contrappesi sancito dalla divisione dei poteri dell’ordinamento americano.

Secondo Schlesinger, alla continua espansione dell’unilateralismo presidenziale in campo internazionale ne corrispose un’altra, parallela, in materia di politica interna. Con Nixon, oltre ai draconici provvedimenti in campo economico e monetario – tra tutti, la decisione unilaterale di sospendere la convertibilità dollaro-oro alla base del sistema di Bretton Woods – la deriva autocratica si concretizzò nella creazione di un apparato di controinformazione e sorveglianza capillare collocato al di fuori di ogni possibile prerogativa presidenziale, finalizzato a debellare i movimenti pacifisti contro la guerra in Vietnam, che nel frattempo veniva segretamente estesa ai neutrali Laos e Cambogia all’oscuro del Congresso e dell’opinione pubblica.

Il buon Schlesinger non fu il solo a porsi delle domande su questa pericolosa deriva imperiale e sulle conseguenze che avrebbe potuto portare per la nazione. Molte delle sue preoccupazioni, specie riguardo a Richard Nixon e alla macchina onnipervasiva del governo federale, furono condivise – ed estremizzate – da un uomo che di lavoro faceva lo scrittore di fantascienza e che, proprio come Nixon, proveniva dalla California.

Per il visionario Philip K. Dick (pkd), infatti, Richard Nixon rappresentava l’emblema del male incarnato, la nemesi da combattere con ogni mezzo e in ogni tempo per cercare di ristabilire il Giusto Regno su questa terra e liberare gli uomini dal giogo, appunto, dell’Impero. In quest’ottica, l’America di Nixon è un “male necessario” per comprendere gli sviluppi del periodo più maturo e travagliato della narrativa dickiana.

Caliamoci per un attimo nei panni del nostro scrittore di fantascienza, e immaginiamo un passato alternativo, senza Nixon. Saliamo sulla nostra macchina del tempo per approdare a Washington DC, in un giorno qualsiasi del 1974. Fermiamo il primo passante e chiediamogli dunque se il Presidente Nixon si è già dimesso per lo scandalo Watergate. Se siamo capitati nella linea temporale giusta, probabilmente ci verrebbero poste due domande:

“Chi è Nixon?” e “Cos’è lo scandalo Watergate?”

Flash forward sul nostro cronoveicolo, stessa linea temporale, Santa Ana, California. 4 Marzo 1982. Philip Dick è morto da quarantotto ore.

Come spesso accade, le vendite dei suoi libri schizzano alle stelle. Allora entriamo nella prima libreria e chiediamo al libraio di acquistare una copia di Scorrete, lacrime, disse il poliziotto, Un oscuro scrutare,e Valis.

Il libraio, che peraltro è un vero appassionato di Philip Dick, ci caccerebbe in malo modo: non ha tempo per gli scherzi.

«L’ultimo,» grugnirebbe, «è Nostri amici da Frolix 8. Niente di che, tra l’altro. Qualche spunto interessante, ma a quel punto il tizio era completamente bollito dalla droga. Vuoi qualcosa di veramente fico? Cronache. Quello sì che è un libro. Sennò c’è la Svastica, ma ora che ci penso se non l’hai già letto vattene immediatamente.»

Ma torniamo alla nostra linea temporale, cercando di capirci qualcosa.

Nel ’52, Richard Nixon fu designato come candidato alla vicepresidenza dal generale Dwight Eisenhower, in corsa per la Casa Bianca contro il democratico Adlai Stevenson. Qualche anno prima, Dick aveva già letto quel nome sulle pagine del Berkeley Gazette: Nixon – a cui era stato affibbiato il soprannome di Tricky Dick(y) in virtù dei metodi “poco ortodossi” impiegati per farsi largo nel mondo politico – era un ultraconservatore giunto alla ribalta della scena nazionale per via della sua fama di zelante persecutore di simpatizzanti comunisti nell’ambito delle attività della Commissione delle Attività Antiamericane istituita dal Senatore Joseph McCarthy. Dick stesso, qualche anno più tardi, fu interrogato da due agenti dell’FBI – per via delle simpatie politiche della seconda moglie Kleo Apostolides, o secondo altri, per essere reclutato tra le fila degli informatori dei federali – e iniziò a maturare qualche seria preoccupazione riguardo la presenza di Nixon nelle istituzioni del potere, alle quali dedicherà uno spazio di prim’ordine nel corso della propria narrativa.

Rieletto per un secondo mandato con Eisenhower nel ’56, Nixon sembrò successivamente scomparire dai riflettori della politica statunitense dopo la pessima performance registrata nel famoso dibattito Kennedy-Nixon del 1960, in cui il sudato e balbettante politico californiano, questa volta candidato alla presidenza, risultò incapace di sostenere la dialettica sicura e la presenza carismatica di JFK.

Quasi contemporaneamente, complici la separazione con Kleo, il fallimento degli esperimenti letterari finalizzati a sfondare nella narrativa mainstream e l’avvicinamento agli psicofarmaci, Philip Dick iniziò ad accusare i primi sintomi di una crescente instabilità psicofisica che lo avrebbe accompagnato per il resto della vita e da cui tuttavia sarebbe riuscito a trarre costante ispirazione per la propria penna.

Sul fronte degli sviluppi storici, i crescenti disordini nella politica statunitense degli anni ’60 – l’assassinio del Presidente Kennedy e di Martin Luther King, le marce per i diritti civili, le manifestazioni contro la guerra del Vietnam, la repressione violenta delle proteste e gli omicidi di stampo razziale – non fecero altro che acuire il senso di smarrimento e di paranoia di Dick, che, divenuto nel frattempo un autore affermato nel panorama fantascientifico internazionale, guardava con orrore al progressivo materializzarsi di quell’involuzione antidemocratica su cui aveva sviluppato molti dei suoi racconti e romanzi, e iniziava a convincersi di essere braccato dai federali proprio in virtù delle tematiche trattate nelle proprie opere. Come se questo non bastasse a compromettere una situazione già di per sé estremamente tesa, nel 1969 Richard Nixon vinse le elezioni e si insediò alla Casa Bianca: il nemico era tornato, all’apice dei centri di potere.

A questo periodo risale il grande tracollo dell’autore: abbandonato dalla (quarta) moglie Nancy Hackett e dalla figlioletta Isa nell’agosto del 1970, alle prese con ristrettezze economiche e disperatamente incapace di affrontare la solitudine, Dick si gettò in un abuso smodato di sostanze e iniziò a spalancare le porte della sua casa di Santa Venetia a tossicodipendenti e accattoni, che vi trovarono rifugio fino al pignoramento dell’immobile per insolvenza, avvenuto nel febbraio del 1972. In quel mese, Dick si trovava in Canada per la partecipazione alla seconda Convention di Fantascienza di Vancouver, che lo distolse temporaneamente dall’ambiente tossico in cui si era incagliato. Tuttavia, dopo un apparente miglioramento, il 23 marzo 1972, a poco più di un mese dalla rassegna, Dick tentò il suicidio inghiottendo 700 milligrammi di bromuro di potassio, riuscendo tuttavia a contattare un centro di prevenzione suicidi prima che fosse troppo tardi. Dick fu quindi ricoverato nel centro di riabilitazione di X-Kalay, da cui fu dimesso nell’aprile del ’72, e si trasferì successivamente a Fullerton, California, dove avrebbe conosciuto Leslie “Tess” Busby, la sua quinta e ultima moglie e madre del figlio Christopher.

Durante il periodo buio di Santa Venetia, nel novembre del ’71, l’autore fu inoltre vittima di un singolare furto con scasso: individui ignoti si introdussero nel suo appartamento, fecero saltare il suo schedario privato con esplosivi al plastico e trafugarono la sua documentazione privata, incluse bozze di racconti e romanzi, mettendo a soqquadro l’abitazione ma lasciando sul posto la maggior parte degli oggetti di valore. L’episodio, più volte portato all’attenzione della polizia ma mai risolto, non fece che assestare un ulteriore colpo alla già traballante stabilità mentale dell’autore, che fino alla fine dei propri giorni continuò ad arrovellarsi sul movente del crimine, arrivando persino a sospettare di soffrire di schizofrenia e ad accusare sé stesso di aver compiuto il furto.

Il benessere ritrovato dopo il periodo di riabilitazione e la nuova convivenza con Tess consentì a pkd di riprendere l’attività di scrittura, sospesa da ormai due anni: il primo progetto fu la rielaborazione delle bozze di un romanzo che, per un caso fortuito, Dick aveva affidato al proprio avvocato giusto qualche mese prima di subire il furto. In una lettera al direttore della rivista tedesca Science Fiction Times pubblicata nel numero 135 del 1975, Dick scrisse: «[…] Come probabilmente saprete, il mio ultimo romanzo, SCORRETE LACRIME, DISSE IL POLIZIOTTO, descrive gli Stati Uniti come uno stato di polizia totalitario. Ciò che la maggior parte dei lettori […] non sa è che il romanzo fu scritto nel ’70; scrissi il romanzo, e collocai il manoscritto – l’unica copia – nella cassaforte del mio avvocato, per metterlo al sicuro. Nel 1971 la mia casa fu svaligiata e i miei schedari vennero fatti saltare. […] Sono tuttora convinto che ciò avvenne su mandato del governo federale. […] Ciò che mi spaventa di più è il pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se [i federali] avessero trovato il manoscritto di SCORRETE LACRIME, un libro che descrive approfonditamente le loro attività e la loro natura. Sono certo che non sarebbe mai stato pubblicato, ed è addirittura possibile che il manoscritto fosse proprio quello che stessero cercando.»

Il mondo di Scorrete lacrime, ambientato nel 1988, è infatti la rappresentazione distopica di un’America in cui la Presidenza Imperiale si è realizzata pienamente. In questa realtà alternativa situata in un prossimo futuro, caratterizzata dal consolidamento e dall’accettazione passiva di un apparato di polizia «fondato sul controllo elettronico dello spionaggio e sulla delazione come sistema consolidato» (Renato Oliva, 2007), il presidente Nixon in persona viene descritto come “il Secondo Figlio Unigenito di Dio”, la cui ascensione tra le braccia del Padre viene raffigurata sulla ricca moquette di un appartamento del distretto di Fireflah, Las Vegas, teatro di una retata finalizzata all’arresto di Jason Taverner, uno dei protagonisti del romanzo.

Da questo punto in poi, l’intreccio tra storia, biografia e produzione letteraria si fa sempre più stretta: da un lato, lo sviluppo della storia statunitense sembra radicare nel mondo delle possibilità fattuali le proiezioni dell’autore californiano, conferendovi un carattere al limite del profetico – o, per utilizzare un termine caro al nostro pkd, precog; dall’altro, Dick attinge a piene mani dalla propria travagliata esperienza personale per delineare temi, trame e personaggi delle opere del suo periodo più maturo e tormentato.

Come già accennato, nel febbraio del 1972 pkd fu invitato a Vancouver per presenziare a un festival della fantascienza. Nonostante la nota avversione per i viaggi, l’invito giunse come manna dal cielo nel periodo più buio per l’autore, che colse così l’opportunità di staccarsi dall’ambiente tossico di Santa Venetia e iniziò a dedicarsi alla stesura di un testo da presentare alla conferenza. Il risultato fu The Android and the Human, un saggio in cui Dick tenta di esporre le conclusioni della propria personale indagine su ciò che distingue l’essere umano dall’entità androide: nell’equazione dickiana, “l’androidizzazione richiede obbedienza e prevedibilità”, mentre il fulcro dell’essenza umana, che pkd riconosce soprattutto nei giovani della sua epoca, risiede nella malizia che porta a comportarsi in modo imprevedibile, anche se talvolta eticamente opinabile: «Se, come sembra, stiamo diventando una società di stampo totalitario in cui l’apparato statale è onnipotente, i principi etici fondamentali per la sopravvivenza dell’individuo umano autentico e libero sarebbero: ingannare, mentire, fuggire, fingere, non farsi trovare, falsificare documenti, chiudersi in garage per costruire dispositivi elettronici migliori di quelli in dotazione alle autorità. Se lo schermo del televisore vi osserva, ricablatelo a tarda notte, quando vi è permesso spegnerlo, riconfiguratelo in modo che lo sbirro tirapiedi che tiene d’occhio il vostro soggiorno si ritrovi in realtà a guardare il soggiorno di casa sua.»

Proseguendo nell’argomentazione, Dick si sofferma sulle limitazioni alla libertà individuale derivanti dall’impiego della tecnologia per la sorveglianza capillare dei cittadini («L’elaborazione continua di una tirannide di stato sulla falsariga di quelle che si immaginano nel circolo della fantascienza […], la continua violazione statale della privacy dell’individuo, il fatto che lo stato sappia troppo di ognuno, e, quando sa – o crede di sapere – qualcosa che lo preoccupa, il suo potere e la sua capacità di annientare l’individuo, ebbene, come penso sia chiaro, tutti questi processi si servono della tecnologia come strumento.») e dalla somministrazione delle “droghe del sistema” per il controllo del comportamento umano («… l’uso calcolato, diffuso, e scrupolosamente regolamentato di specifiche droghe tranquillanti, come le fenotiazine, potrebbe non arrecare danni cerebrali permanenti come fanno le droghe di strada, ma potrebbe – e, dio non voglia, ma lo fanno – provocare ciò che non saprei come definire se non “danni all’anima”.»), anticipando di fatto il nucleo tematico del successivo romanzo Un oscuro scrutare, il cui titolo traspare nella sezione conclusiva del saggio: «[…] Paolo, nella sua Prima Lettera ai Corinzi, scrive “Vediamo come attraverso uno specchio, in modo oscuro”: magari questo pensiero un giorno verrà riformulato come “Vediamo come attraverso uno scanner passivo ad infrarossi, in modo oscuro”? Uno scanner che, come accade in 1984 di Orwell, ci sorveglia costantemente? […]»

Il romanzo, il cui nucleo sembra appunto risalire al 1972, fu successivamente inviato in bozza all’editore Doubleday nell’aprile del 1973, poco dopo l’accettazione del manoscritto di Scorrete Lacrime. Parallelamente, gli Stati Uniti venivano scossi dalle inchieste legate al caso Watergate, scoppiate nell’agosto del 1972, che si erano nel frattempo estese ai vertici governativi, fino a includere le più alte cariche dell’esecutivo, compreso lo stesso Presidente Richard Nixon. La realtà assumeva dunque sempre più i connotati di un libro “alla Philip Dick”: secondo Norman Spinrad, autore di fantascienza e amico di pkd, «tutto ciò che Phil pensava riguardo al governo si rivelò vero. Chiunque vedesse davvero ciò che stava accadendo [negli Stati Uniti] nei primi anni Settanta sarebbe stato considerato un pazzo paranoico fino a quando non esplose il caso Watergate.»

Dal canto suo, Philip Dick continuò a seguire attentamente gli sviluppi della vicenda, denunciandone i risvolti in lettere inviate ad amici e successivamente pubblicate in riviste di settore, e inglobando gradualmente gli eventi storici e personali nel suo romanzo in elaborazione. Lo scandalo era percepito da pkd come un evento di portata davvero eccezionale che non faceva altro che corroborare decenni di elucubrazioni sull’oscuro futuro della nazione: «Questa lettera tratta di un argomento parecchio cupo, che sta tuttavia diventando più chiaro: le rivelazioni sullo scandalo Watergate. Un articolo apparso su Newseek l’11 giugno [del 1973] ha informato il pubblico americano rispetto a quello che potrebbe forse essere l’aspetto più fosco e orripilante di tutta la vicenda, ovvero che nel 1970, 1971, 1972 (e verosimilmente anche adesso) esisteva una polizia segreta nazionale operante al di fuori della legge, probabilmente sotto la giurisdizione dell’Unità di Sicurezza Interna del Dipartimento di Giustizia; questa agì contro i cosiddetti “radicali”, ovvero la sinistra, i pacifisti; li colpì ripetutamente e segretamente, ovunque, in mille modi sgradevoli: irruzioni, intercettazioni telefoniche, induzioni al reato…tutto con l’intenzione di ottenere o falsificare delle prove che potessero spedire questi radicali pacifisti in gabbia. […]»

Nel febbraio e marzo 1974, mentre le indagini si concentravano sempre di più sul ruolo e sul grado di coinvolgimento di Nixon negli eventi del Watergate, la vita di Philip Dick fu completamente stravolta da quelli che vengono generalmente definiti “gli eventi del 2-3-74”: poco dopo la pubblicazione di Scorrete lacrime – che gettò pkd in una nuova crisi paranoica per via dei contenuti “scomodi” del romanzo – l’autore fu costretto a sottoporsi a chirurgia per la rimozione di un dente del giudizio, a cui seguì un periodo di assunzione di antidolorifici. Il 20 febbraio, quando aprì la porta alla ragazza che gli avrebbe dovuto consegnare il rifornimento dei medicinali, Dick notò che questa portava al collo un ciondolo con il segno cristiano del pesce.

Istantaneamente, come colto da una improvvisa illuminazione, l’autore ebbe esperienza di ciò che definì anamnesi, la “rimozione della dimenticanza”, che gli disvelò la verità mascherata dal velo della California degli anni ’70: il tempo lineare era una pura illusione che celava la vera realtà rimasta ferma al 70 d.C., al tempo delle persecuzioni perpetrate dall’Impero Romano ai danni dei cristiani, un giogo a cui Dick attribuì il nome di Nera Prigione di Ferro e che vedeva materializzarsi nella presidenza imperiale nixoniana. In questo delirio mistico, pkd percepì di essere “abitato” da un’entità denominata omoplasmato – un ibrido tra un soggetto umano e la pura informazione – che gli trasferiva notizie e sensazioni riguardo la schiavitù dei cristiani soggiogati dall’Impero. Nei mesi successivi, Dick fu preda di terribili incubi e visioni che si manifestarono sotto forma di rapidissimi vortici di luci “fosfeniche”, a cui si sommò una tempesta di informazioni trasmessegli da un’entità “mimetica” che chiamò Zebra, Logos, o, più nel dettaglio, VALIS, che avrebbe costituito la sua ossessione personale e narrativa fino alla morte.

L’esperienza mistica del 2-3-74 e gli sviluppi nel contesto politico americano ebbero profonde ripercussioni sulla produzione letteraria dell’autore. A partire dal 1975, le bozze di Un oscuro scrutare vennero rielaborate sulla scorta delle esperienze vissute: la pioggia incessante di visioni “fosfeniche” fu convogliata nella “tuta disindividuante” (qui condivido il plauso di Carlo Pagetti al gioiello di artigianato linguistico che è la traduzione di Gabriele Frasca), unico dispositivo di pura fantascienza presente in un romanzo, che, secondo lo stesso Dick, «è … una metafora del nostro presente politico recente. Non è assolutamente autentica fantascienza… Il fatto che… sia ambientato nel futuro è una pura e semplice convenzione. Bob Arctor, il protagonista, è Richard Nixon in un senso molto concreto. In un altro senso, egli è tutti noi che siamo passati attraverso questi anni recenti, sia coloro che agiscono all’interno delle istituzioni (rappresentati dalla polizia), sia coloro che vivono all’interno della contro-cultura (rappresentati dai drogati).» Nota a margine: Nixon e gli eventi a lui connessi contribuirono a delineare il personaggio di Bob Arctor a tal punto che al protagonista di Scrutare viene messa in bocca la frase “I am not a crook”, “non sono un imbroglione”, passata alla storia come una delle più famose bugie pronunciate da una carica pubblica.

Il tema della scissione della personalità, o meglio della compresenza di diverse entità all’interno di un’unica struttura corpo-mente, è inoltre uno dei fili che lega saldamente Scrutare ai successivi Radio Libera Albemuth e Valis: se in Scrutare la riflessione-disgregazione nasce e si esaurisce all’interno del cervello di Fred/Bob, progressivamente inibito dal consumo di Sostanza D fino al completo annullamento di sé, in Albemuth e Valis Dick proietta tale scissione nell’impiego del doppio narratore e inserendo sé stesso come personaggio fittizio all’interno del romanzo, completato rispettivamente dai personaggi di Nicholas Brady (in Albemuth) e Horselover Fat (Valis), alter-ego dell’autore a cui vengono attribuite le esperienze vissute nel febbraio-marzo 1974.

Radio Libera Albemuth, pubblicato postumo, fu il primo romanzo ideato da Dick dopo le esperienze del 2-3-74: inizialmente concepito come seguito de L’uomo nell’alto castello prima di essere sottoposto a una radicale revisione dietro richiesta della casa editrice Bentam, per lungo tempo Albemuth fu considerato un semplice canovaccio di prova per la stesura del successivo Valis, anche in ragione del titolo originario Valisystem A; in realtà, al di là dei riferimenti all’entità alieno-divina foriera di informazioni e della struttura a doppio narratore con Philip Dick incluso tra i personaggi, i due romanzi si sviluppano in modalità sostanzialmente diverse.

In Albemuth ci ritroviamo di fronte alla massima convergenza tra storia e (auto)biografia: il protagonista, Nicholas Brady, frustrato commesso in un negozio di dischi nella Berkeley degli anni ’50, inizia ad avere l’impressione di essere spiato o visitato da un’entità misteriosa, che ipotizza essere sé stesso nel futuro, venuto per avvertirlo di un pericolo imminente e guidarlo verso la salvezza. Inizialmente Brady saggia questa ipotesi proponendola come idea all’amico Philip Dick, affermato autore di romanzi di fantascienza, che liquida la trama come troppo banale. Sullo sfondo, la scena politica statunitense viene sconvolta da un individuo approdato al Senato con mezzi poco ortodossi direttamente dalla California: il suo nome è Ferris F. Fremont – l’avatar di Richard M. Nixon – e in breve tempo scala le vette dei palazzi di potere fino a vincere le elezioni sul finire degli anni ’60, avviando una feroce campagna di persecuzione contro una misteriosa organizzazione chiamata ARAMCHEK, che Fremont identifica come l’organismo responsabile della diffusione del movimento contro la guerra in Vietnam e la diffusione dell’abuso di droghe nel Paese.

Nel frattempo, Brady continua ad avere visioni e a ricevere messaggi dall’entità misteriosa, a cui attribuisce il nome di Valis (Vast Active Living Intelligent System), e inizia a vivere le stesse esperienze vissute dal “reale” pkd nel febbraio-marzo 1974: dopo aver ricevuto notizia di un difetto congenito del figlio – così come era accaduto a pkd – Brady cade preda di visioni fatte di luci e informazioni, fino a prendere coscienza del fatto che la tirannide di Fremont non è altro che una maschera che cela l’Impero romano alla caccia dei cristiani nel 70 d.C, momento in cui il tempo storico si è effettivamente fermato. Valis è dunque un’entità benevola che assiste la resistenza contro l’Impero, di cui sia Brady sia Dick fanno parte, e si insedia in (o si manifesta in forma di) un satellite orbitante attorno al pianeta, da cui trasmette informazioni agli uomini.

Brady, che nel frattempo ha trovato lavoro presso uno studio di registrazione. cerca quindi di inserire alcuni messaggi subliminali circa la vera natura del Presidente Fremont – che si rivelerà essere una spia sovietica infiltrata negli USA, sostanzialmente assimilati all’URSS come una delle tante manifestazioni della matrice imperiale – nel disco degli Alexander Hamilton, uno dei gruppi rock più in voga nel paese, che verrà trasmesso con successo nell’epilogo del romanzo nonostante la tragica fine dei protagonisti.

Su questo ultimo punto, il carattere profetico della fantasia di Philip Dick raggiunge vette quasi disturbanti. Nel 1986, dietro mandato dell’Amministrazione Reagan, il Procuratore Generale Edwin Meese III commissionò al Domestic Policy Commitee del Dipartimento di Giustizia la produzione di un report di analisi sulle relazioni tra il potere esecutivo e il legislativo. Tale documento avrebbe dovuto fornire una base giuridica e costituzionale a supporto di una graduale espansione dei poteri dell’esecutivo, sui quali il Congresso aveva posto dei limiti proprio a seguito dallo scandalo Watergate e del disastroso epilogo della guerra del Vietnam. Nello sviluppare il documento, il gruppo di lavoro propose quindi una radicale reinterpretazione del concetto della separazione dei poteri, che prevedeva un esecutivo autonomo e svincolato dalle pastoie del potere legislativo e giudiziario: tale teoria, denominata Unitary Executive Theory, deriva dai contenuti del settantesimo documento dei Federalist Papers (un insieme di saggi redatti dai Padri Fondatori a supporto della ratifica della Costituzione Americana) dal titolo The Executive Department Further Considered. Se vi chiedete dove sta il carattere disturbante di tutta la faccenda, vi basti sapere che l’autore del documento in questione fu proprio Alexander Hamilton.

Ma tornando al focus della discussione, la lucida analisi di Umberto Rossi si rivela particolarmente utile per comprendere come il contesto storico e personale abbiano influenzato il romanzo, e in generale la narrativa dickiana del periodo maturo: «Albemuth prende le mosse dalla realtà politica e storica degli anni sessanta e settanta americani, mostrando sostanzialmente cosa sarebbero potuti diventare gli Stati Uniti se Nixon non fosse stato fermato dallo scandalo Watergate, per poi passare alle note rivelazioni del 2-3-74, che tennero Dick occupato dal Febbraio 1974 fino alla sua morte. [Il romanzo] riesce a fondere fantascienza religiosa e fiction distopica in un modo mai visto in precedenza.»

Veniamo ora a Valis, ultimo dei romanzi che vorrei prendere in considerazione per esaminare l’influenza della presidenza imperiale nixoniana sulla narrativa di Dick. In una tra le infinite note che compongono l’Esegesi, il laboratorio di sofferta speculazione mistico-filosofica a cui Dick dedicò l’ultima fase della propria vita, l’autore afferma: «Valis riprende dal punto in cui si interrompe Scrutare. […] L’occlusione, che è il tema principale di Scrutare, lo è anche in Valis, ma lì si tratta di un’occlusione cosmica e ontologica. […] Valis può essere compreso veramente soltanto se si tiene presente Scrutare. Bob Arctor nell’ultima pagina di Scrutare è Horselover Fat nella prima di Valis, i due romanzi formano un tutt’uno indivisibile.»

Sviluppato con l’ormai collaudato impianto a doppio narratore utilizzato nelle bozze di Albemuth, progetto messo da parte durante la vita dell’autore, Valis segue una propria traiettoria narrativa imperniata sulla ricerca della vera natura del divino – Valis, appunto – da parte di Horselover Fat, alter-ego di Philip Dick, che a sua volta compare nel romanzo come controparte “razionale” di sé stesso.

Sebbene in Valis i riferimenti al contesto storico risultino molto più velati rispetto ad Albemuth (Sophia, la bimba che incarna Valis e che ha un colloquio con i protagonisti, fa soltanto cenno all’oppressione “ritirata quattro anni fa” – ovvero alle dimissioni di Nixon, considerando che il romanzo fu terminato nel 1978), il tema dell’”impero infinito” ricopre un’importanza fondamentale, tanto da diventare un mantra ripetuto più e più volte nell’Esegesi di Horselover Fat, pseudobiblion inserito nella trama del romanzo e basato sulla vera Esegesi del vero Philip Dick: teso nello sforzo di trasporre il proprio dramma ontologico in forma di fiction fantascientifica, l’autore gioca a simulare, contraffare, sdoppiare oggetti e personaggi, mescolando frammenti di realtà e invenzione in un delirante quanto maestoso affresco gnostico-speculativo postmoderno.

Sia nel romanzo, sia nel Tractatus: crypyica scriptura, un’estrapolazione – fittizia anch’essa – dall’Esegesi di Fat e pubblicato in appendice a Valis, la frase “l’impero non è mai cessato” compare svariate volte, a sottolineare il carattere ossessivo dell’onnipresenza dell’Impero nella sua forma di Nera Prigione di Ferro nella mente dell’autore e dei suoi protagonisti. Parallelamente, nell’Esegesi – quella vera, tangibile, di Philip K. Dick – commentando un elenco sequenziale di opere in cui riassume la gnosi della propria narrativa, PKD afferma: «Sommario: le nostre menti sono deliberatamente occluse, così da impedirci di vedere la prigione che ci tiene schiavi, che è opera di una potente, stregonesca divinità maligna, a cui tuttavia si oppone una misteriosa entità salvifica che spesso assume sembianze trasandate e che ripristinerà i nostri ricordi perduti. Tale entità può benissimo essere un vecchio alcolizzato. In ciò sono coinvolte le droghe, il comunismo, il sesso e una pluralità di pseudomondi fittizi e patologici, ma l’entità salvifica multiforme, misteriosa come l’argento vivo, alla fine ci salverà, riportandoci alla nostra vera natura umana. Allora cesseremo di essere soltanto macchine che agiscono di riflesso. Questa è la summa del mio kerygma, disseminato nelle mie opere.»

L’approdo narrativo di Dick si configura dunque come un’interpretazione unica e inimitabile del canone distopico applicato alla fantascienza, che trova sostanza in uno «stato di polizia inequivocabilmente americano e specificamente nixoniano» (Rossi, 2014), quella Nera Prigione di Ferro che, specie nel trittico delle ultime opere, fa da sfondo all’avvicendarsi di personaggi e situazioni creati al puro scopo di dare senso alla natura del divino e alla presenza del male nel mondo. Da questa prospettiva, gli sviluppi storici e politici dell’America del secondo dopoguerra, e in particolare la figura di Richard Nixon e gli eventi a lui associati, giocano un ruolo imprescindibile per la tessitura di trame e sottotrame degli pseudomondi di Philip K. Dick, oggi più attuali che mai.

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1969.

Santa Venetia, California, Stati Uniti.

Philip K. Dick è appena stato nominato vicepresidente degli Stati Uniti a fianco del repubblicano Ferris F. Fremont. I giornali statunitensi parlano di landslide victory per il ticket, che reinsedia il GOP alla Casa Bianca dopo oltre un decennio di dominio dem.

Richard Nixon, uno squattrinato e paranoico scrittore di romanzi di fantascienza, sta assistendo alla cerimonia inaugurale dal salotto del suo squallido appartamento.

Mentre è intento a fissare pigramente il tizio in televisione che presta giuramento biascicando «… sostenere e difendere la Costituzione degli Stati Uniti contro tutti i nemici, esterni e interni…”, a Nixon balena in testa un’idea balorda, che però lo stuzzica terribilmente.

Nixon sta pensando che sarebbe davvero interessante sviluppare un romanzo in cui il cervello del vicepresidente Philip K. Dick e quello dello scrittore di fantascienza Richard Milhous Nixon vengono scambiati, con i due che si ritrovano a vivere rispettivamente la vita dell’altro.

Davvero molto, molto interessante.

Nixon spegne il televisore, trangugia delle anfetamine e si mette a battere come un forsennato sulla macchina da scrivere sotto la finestra.


Bibliografia

Philip K. Dick, The Android and the Human, 1973, in Lawrence Sutin, The shifting realities of Philip K. Dick: selected literary and philosophical writings, First Vintage Books Edition, 1995;

——————. Mob Rules, lettera pubblicata in Vector 67-68, rivista ufficiale della British SF Association, primavera 1974;

——————. The Invisible,lettera pubblicata in Vector 67-68, rivista ufficiale della British SF Association, primavera 1974;

——————. If you find this world bad, you should see some of the others, 1977, in Lawrence Sutin, The shifting realities of Philip K. Dick: selected literary and philosophical writings, First Vintage Books Edition, 1995;

——————. Flow my tears, the policeman said, 1974;

——————. Radio Free Albemuth, 1985;

——————. A scanner darkly, 1977;

——————. Valis, 1981;

Federal Bureau of Investigation, Testimonianza di Alfred Carleton Baldwin, deposta il giorno 11 luglio 1972 nell’ufficio del Procuratore di Washitngton DC, alla presenza di Robert Mirto (avvocato dell’imputato), dei vice-procuratori Earl J. Silbert e Donald E. Campbell, e degli Agenti speciali Angelo J. Lano e Daniel C. Mahan;

Antonio Caronia, Domenico Gallo, Philip Dick, la macchina della paranoia, Agenzia X, 2006;

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Garrett M. Graff, Watergate: a new history, Avid Reader Press, 2022;

Gwen Lee, Doris Elaine, What if our world is their heaven?, The Overlook Press, 2000;

Renato Oliva, “Scorrete lacrime: la cognizione del dolore”, postfazione in Scorrete lacrime, disse il Poliziotto, Fanucci, 2007;

Carlo Pagetti, Il mondo secondo Philip K. Dick, Mondadori, 2022;

—————. “Il Re delle Lacrime e lo Straniero: Dick tra Lear e le Baccanti”, introduzione in Scorrete lacrime, disse il Poliziotto, Fanucci, 2007;

—————. “Nell’inferno dell’Io-romanzo diviso”, introduzione in Un oscuro scrutare, Fanucci, 2009;

—————. “Vivere l’Apocalisse nel tempo di Valis”, introduzione in Trilogia di Valis, Fanucci, 2006;

—————. “Sogni sovversivi, segnali alieni”, introduzione in Radio Libera Albemuth, Fanucci, 2013;

Umberto Rossi, “Philip K. Dick’s Unconventional Dystopias: from Radio Free Albemuth to A Scanner Darkly, in Extrapolation, vol. 55, no. 2, 2014;

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David Streitfeld, Philip K. Dick, Philip K. Dick: the last interviews and other conversations / edited and with an introduction by David Streitfeld, Melville House Publishing, 2015

Lawrence Sutin, Divine invasions: a life of Philip K. Dick, Carroll & Graf Publishers, 2005;

——————. The shifting realities of Philip K. Dick: selected literary and philosophical writings, First Vintage Books Edition, 1995;

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Darko Suvin, “Goodbye and Hello: Differentiating Within the Later P.K. Dick, Extrapolation, vol. 43, no. 4, 2002;

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