La guerra, la poesia e le cose dell’uomo: “Non tutti certo moriremo” di Alessandro Forlani

di Nicola Brizio

Parlare di Non tutti certo moriremo, il nuovo romanzo di Alessandro Forlani è complicato per due motivi.

Il primo è che è molto bello e da sempre recensire i libri belli è più complicato rispetto a recensire i libri brutti.

Il secondo è che la trama è strutturata in maniera così magnificamente articolata che diventa difficile raccontarla dall’inizio alla fine.

Anche perché definire il concetto di inizio e di fine di Non tutti certo moriremo risulta pressoché impossibile dal momento che i capitoli, pur presentati in un determinato ordine, possono essere letti nella sequenza che più ci aggrada, rivelando di volta in volta nuovi significati e prospettive inedite.

L’esercizio di stile di un autore che conosce il mezzo e sa come muoverlo, potrebbe obbiettare qualcuno.

E invece no, perché lo sfasamento temporale, il senso di confusione che di tanto in tanto assale il lettore, il seme di un capitolo che germoglia, quasi impercettibilmente, in quello successivo sono sempre elementi funzionali alla narrazione.

Ci si sente spaesati, di tanto in tanto.

Si ha l’impressione di essere persi al centro di un crocevia di sentieri sconosciuti.

Può spaventarci? Può, certamente, ma non dovrebbe perché in fondo non è nient’altro rispetto a ciò che ci accade ogni volta che osserviamo gli uomini e le cose del mondo.

A ben guardare tutta la letteratura, dopo immense piroette, confluisce nell’unico grande obbiettivo di raccontare le faccende della vita e della morte.

Per farlo Forlani sceglie, tra gli altri, due mezzi che da sempre sono compagni di viaggio dell’uomo nella storia: la guerra e la poesia.

La guerra c’è e non c’è, nel romanzo è uno sfondo immutabile che ora si acutizza e ora latita pur restando nella percezione dei personaggi.

È una guerra inedita quella di Forlani, combattuta da fazioni oggi improbabili, ma domani chissà.

Ora che il tabù bellico è tornato a fare capolino nel nostro inconscio collettivo tocca ai grandi scrittori esplorarlo ancora una volta tramite la letteratura e questo il nostro autore lo sa bene.

Dall’altra parte la poesia è distribuita con dovizia e sensibilità.

Come la guerra appare e scompare lungo le pagine.

È una poesia che racconta, che si colloca alla perfezione nella narrazione e allo stesso tempo vive di musicalità, scritta in prosa come tutta la migliore del novecento (sentenza che condivido e rubo dal grande Harold Bloom).

Insomma Forlani si conferma con Non tutti certo moriremo uno dei più importanti, influenti e talentuosi autori del panorama di casa nostra, capace di far esplodere i dettami del genere (quale genere poi?) e ricomporli elevandoli al grado di grande letteratura.

Un romanzo per chi non teme di guardare l’abisso sul quale la nostra società ha deciso di sporgersi finendo per caderci, prova ne sono alcuni passaggi terribili che sembrano usciti dalla villa di Salò di pasoliniana memoria.

Il consiglio ovviamente è quello di leggerlo, in che ordine sta a voi deciderlo.

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